Verde.

di Lucio Mayoor Tosi

Nel perfetto corridoio, il discreto rumore del carrello
delle medicine. Qualcosa finisce sui vetri,

l’ombra di una farfalla scura, di quelle che arrivano
cieche in piena estate, e vanno a sbattere sul petto

sussurrando: presagio!

Distanze di ulivi e lontanissime barche. Intorno
girano ancora le stanze che sappiamo, coi soffitti

alti che non ci puoi appendere un quadro.
Il bambino d’oro sta con le mani in mano.

Sull’altro pianeta si moriva, ma poi erano danze
e da sotto il cappello storto uscivano nuvolette

di luce affamata. Senza confina tra qui e là.

Dal letto d’ospedale non si riesce a guardare in basso.
– Per un’ultima volta vorrei dare uno sguardo

alle verdi chele dell’astronave. Ascoltare il lento
respiro dei motori. La soglia verde di ogni pensiero.

Congiungo le mani e mando un saluto alla radica
dei muri,  al fiore turchese che diceva «A domani».

Prendiamoci una romantica stella morta, voce
dimenticata, da lasciapassare.Distanze secolari.

Senza ritorno, ché al centro lo spazzino si è preso
ormai quelle ogni-distanza. E la memoria.